
L’America prima degli americani
I primi ad arrivare furono i drakkar di Leif Erikson. Era più o meno l’anno 1000, ben cinquecento anni prima di Colombo per capirci, e soltanto pochi mesi dopo quelle stesse navi ripartirono per non farvi più ritorno. Perché erano stati mesi di autentiche tribolazioni finanche per i tenaci uomini del Nord, mesi in cui il loro misero avamposto di capanne dai tetti di zolle non aveva retto al freddo, alla fame ed alle incursioni degli indiani Mi’kmaq.
Gli era andata bene, tutto sommato, quella prima volta, ai nativi americani.
Ma poi, dopo altri cinque secoli di splendido isolamento, eccoli sbarcare più o meno tutti insieme: Cristoforo Colombo, Giovanni Caboto, Amerigo Vespucci, Jacques Cartier, Henry Hudson, Hernàn Cortés, Francisco Pizarro, Lope de Vega de Aguirre, Vàzquez de Coronado, e poi ancora Meriwether Lewis e William Clark e avanti tutti gli altri, frotte di capitani coraggiosi quanto venali a superare frontiere, uccidere, depredare e cancellare le antiche e pacifiche civiltà dell’intero continente, fino a non lasciarne che misteriose e silenti vestigia.
Noi siamo qui sulle loro tracce, quelle dell’America vergine ed incontaminata che gli occhi di quei primi esploratori e dei loro malandati equipaggi videro dal mare con ben altri intenti, dopo lunghe navigazioni piene di stenti e di pericoli. E per farvi vedere come sono ancora oggi i giorni della breve estate subartica sull’isola di Terranova, battuta dai freddi venti atlantici in questo estremo lembo nordorientale di Canada.
A St. John’s (la capitale federale della provincia canadese del Newfoundland & Labrador) passeggerete in cima ad impressionanti scogliere a picco sulle onde, dalle quali Guglielmo Marconi captò nel 1901 il primo segnale sperimentale oltreoceano del suo telegrafo, in una località che per questo porta il nome di Signal Hill; e se il vento e la pioggia non vi spaventano, se decidete di proseguire attraverso le immense e fitte foreste di abeti della Newfoundland’s Northern Peninsula, giungerete sino a scorgere le coste del Labrador, di cui l’ufficiale e cartografo della marina britannica James Cook ebbe a dire nel 1764, di rientro da lunga perlustrazione: “abbiamo incontrato soltanto scogli e rocce e desolata solitudine per miglia e miglia e miglia… questa deve essere senza ombra di dubbio quella che Dio scelse come la terra di Caino”.
Bene, adesso ce l’avete proprio davanti a voi, la terra di Caino, potete intravederla nella nebbia al di là dello stretto braccio di mare tempestoso che fino a soltanto due secoli fa arditi pescherecci baschi solcavano alla ricerca dei favolosi banchi di merluzzi che erano – e sono – l’unica ricchezza di queste remote province. E a darvi il benvenuto sarà, arenata da decenni su di un banco di sabbia e ciottoli, la carcassa di un vecchio relitto divorata dalla ruggine.
Non passano mica in tanti da queste parti, sapete? Ve lo conferma l’imbarco aeroportuale – poco più di una baracca di legno al limitare di una radura nel bosco – i cui piccoli velivoli, gestiti da compagnie indigene, fanno anche da servizio postale e di rifornimento derrate per i radi insediamenti abitati del circondario.
Trascorrete giornate memorabili, in quei minuscoli paesini dai nomi caratterizzati dalla bizzarra mescolanza di toponimi irlandesi e francobretoni che, riflesso delle povere migrazioni coloniali, è tipica e ricorrente in quest’area. Perché sarete uno dei rari turisti della stagione, e quindi probabilmente diventerete una specie di autorità in visita, un vero ospite d’onore…
Eh già, sono molto cordiali qui, e non solo perché ci arrivano in pochi: non è un caso che tutti si definiscano ancora “irlandesi” proprio come i loro avi immigrati, piuttosto che “canadesi”, come ormai a tutti gli effetti sono, a più di cinquant’anni dall’avvenuta annessione al Canada nel 1949. Intanto voi magari apprenderete, nel corso di qualche suggestiva commemorazione in costume dello sbarco vichingo, un bel po’ di tecniche medioevali di incursione e combattimento all’arma bianca, e potrete anche praticare Il tiro a segno con l’ascia barbuta, se vorrete!
E poi a Terranova c’è qualcosa di davvero speciale da bere: l’acqua di iceberg. Insieme con la marmellata di frutti di bosco e le alci che nei boschi scorazzano, gli icebergs sono un’altra delle attrattive locali. Non dimentichiamo che poco più a sud, al largo di Halifax, di fronte alla provincia canadese limitrofa, la Nuova Scozia, naufragò il Titanic… l’acqua di iceberg si vende imbottigliata, gelida come si conviene e del tutto priva di batteri perché ricavata da ghiacci di età centenaria.
Secoli fa, gli indiani Innu affrontavano la dura transumanza delle loro mandrie di caribù con soltanto qualche pugno di tè, cucito in splendide bamboline di feltro date ai loro bimbi come gioco e pegno di sopravvivenza ad un tempo. Oggi invece, mentre vanno in pensione gli ultimi vecchi guardiani degli ultimi fari azionati manualmente dell’intero Nord America, a testimoniare il tempo andato resta qualche intagliatore di midollo di balena, spesso di ascendenza Inuit per parte di nonna materna.
E che le suggestioni in video possano a questo punto ancor più efficacemente della parola scritta esprimere il fascino sui generis di questa singolare, preziosa esperienza di viaggio all’indietro nel tempo…