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I paradisi naturali a rischio di estinzione

Tra i posti da visitare ‘prima che sia troppo tardi’ – scadenza per qualcuno rappresentata dal matrimonio, per qualcun altro dall’avanzare della terza età con i suoi acciacchi, ecc. – ce ne sono alcuni che dovrebbero avere la precedenza nei piani di ogni turista responsabile. Si tratta di quei luoghi meravigliosi che in un futuro non molto lontano rischiano di scomparire o di essere gravemente compromessi a causa dei cambiamenti climatici e delle loro conseguenze (innalzamento del livello dei mari, desertificazione, scioglimento dei ghiacciai, ecc.). “100 places to go before they disappear” (ed. Abrams), impreziosito da un suggestivo corredo fotografico, è l’ultima pubblicazione, in ordine di tempo, che affronta questo delicato argomento. Tra le meraviglie a rischio di estinzione c’è, ad esempio, Nunavut: due milioni di chilometri quadrati di territorio, nel Canada settentrionale, in cui convivono foche, orsi polari, trichechi e più di 25mila Inuit, la popolazione nativa, e canyon con reperti fossili di piante ed animali risalenti a circa 5mila anni fa. Qui lo scioglimento dei ghiacciai può produrre conseguenze davvero catastrofiche. Rischia di scomparire, a causa dell’aumento della temperatura delle acque (3° entro il 2100, si stima), anche la grande barriera corallina dell’Australia, con i suoi 344mila km. quadrati, lungo 2.600 km. di costa nord-orientale del Paese, che ospitano quattrocento diverse specie di corallo di ogni sfumatura immaginabile, 1.500 varietà di pesci e migliaia di molluschi la cui vita dipende proprio dal corallo. A far danni alle Hawaii sono invece la deforestazione e l’introduzione di animali non endemici: nell’isola di Kauai, conosciuta come ‘The garden island’ – la più antica e la quarta in ordine di grandezza delle Hawaii, nonché uno dei luoghi più umidi della Terra – è a rischio l’habitat degli honeycreepers, una particolare specie di micro-uccelli che si nutre di nettare. Un altro posto da visitare prima che sia troppo tardi è la riserva di Masai Mara, in Kenya, savana che insieme a quella di Serengeti in Tanzania copre in totale 25mila chilometri quadrati di territorio uniti da un unico ecosistema. Nei mesi di luglio e di ottobre fanno da scenario al più vasto e vario movimento migratorio del mondo, animali selvaggi e da pascolo in cerca di erba fresca: a rendere l’ecosistema sempre più fragile sarà il graduale spostamento delle piogge, con il progressivo inaridimento di tutta la zona. Destino segnato anche per il Bangladesh: qui la stagione dei monsoni dura da giugno a ottobre e calamità naturali come cicloni tropicali, inondazioni e tornado si verificano quasi ogni anno, sommandosi ai danni provocati dalla deforestazione. Secondo gli scienziati metà del territorio rischia di venire completamente sommerso se il livello del mare si alzerà ancora di un metro. Il Komodo National Park è stato fondato nel 1980 nell’omonima isola indonesiana per proteggere i suoi varani. Il varanus komodoensis è il più grande sauro vivente, un rettile che può superare i due metri di lunghezza: può essere paragonata ad un’enorme lucertola, ma in questo caso è carnivora. Il mare dell’isola, inoltre, è da annoverare tra i più belli del mondo per le sue 250 specie di coralli, per le migliaia di varietà ittiche che ospita e per le splendide tartarughe. Con l’innalzamento del mare si assisterà all’erosione delle mangrovie e delle spiagge sulle quali le tartarughe depongono le proprie uova. Rischiano di essere totalmente sommerse dal mare, infine, le 1.200 isolette che compongono il paradisiaco arcipelago delle Maldive (sette, tra queste, sono già state evacuate): è sufficiente che il livello delle acque, complice lo scioglimento dei ghiacci, s’innalzi tra i 18 e i 59 centimetri e gli atolli diventeranno virtualmente invivibili.